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Le donne di Cochabamba, una voce per la vita nel parlamento boliviano
Le donne indigene e contadine sono in prima linea nella difesa dell'acqua e della terra delle loro comunità
 

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Cochabamba è una delle città principali della Bolivia, con un'area metropolitana che comprende oltre 1 milione di persone. Si trova nell'omonima provincia, sulla Cordillera Oriental delle Ande, zona molto povera di uno dei Paesi più poveri del Sud America. Secondo le statistiche, in Bolivia il reddito annuo pro capite è di 2.600 Euro (22.100 Euro in Italia), ma milioni di famiglie se la devono cavare con un salario minimo di 60 Euro al mese.

E' impensabile che queste persone possano spendere 330 Euro per l'allacciamento alla rete idrica e 20 Euro al mese soltanto per l'approvvigionamento di acqua potabile. Eppure erano queste le tariffe dopo la privatizzazione dei servizi idrici di Cochabamba. Così, nell'aprile del 2000 la popolazione di Cochabamba è insorta. Centinaia di migliaia di persone sono scese in strada a protestare, trasporti e accessi sono stati bloccati, il governo ha risposto dichiarando la legge marziale. Risultato: centinaia di feriti, un ragazzino di 17 anni ucciso con un colpo di fucile al volto, arresti e deportazioni di attivisti nella notte. Non sorprende che, riferendosi a quelle giornate, in Bolivia si parli della "guerra dell'acqua".

Se ne è riparlato anche Al Forum Alternativo Mondiale dell'Acqua di Firenze, che ha ospitato alcuni testimoni di quegli eventi: Renè Cardona, del Sindacato dei Lavoratori Boliviani di Semanca, Elizabeth Peredo Beltran, della Fondazione Solon (www.funsolon.org) e Teofila Lopez, rappresentante della Federazione Nazionale delle Donne Indigene e Contadine Boliviane.

Teofila Lopez
(foto Paolo Scopacasa)

Nativa Quechua, Teofila Lopez rappresenta anche al Senato boliviano gli interessi delle popolazioni indigene, che costituiscono quasi il 70 per cento degli abitanti del Paese (Quechua e Aymara sono i due gruppi principali). "Siamo organizzati a livello di provincia e a livello nazionale per tre cause: la terra, l'acqua e la coca", ha spiegato la Lopez a Blue Planet. "Per noi la coca non è cocaina. Insieme al governo americano, il nostro governo vuole distruggere le coltivazioni di coca in Bolivia per contrastare il traffico di droga. Ma i nostri contadini vivono da secoli con la coca. Mastichiamo le foglie di questa pianta per contrastare gli effetti dell'altitudine."

A parte la questione controversa della coca, per le popolazioni indigene e contadine boliviane gli accordi internazionali sul libero commercio di beni e servizi sottoscritti dal governo del Paese hanno effetti disastrosi. Si sta realizzando una concentrazione delle terre nelle mani di nuovi latifondisti e grandi imprese internazionali. L'agricoltura industriale, le grandi monocolture che si fondano sull'uso di sostanze chimiche e sementi transgeniche, travolgono l'agricoltura di sussistenza delle popolazioni native, basata sulle antiche conoscenze tramandate di generazione in generazione e su un rapporto armonico tra umanità e natura, in cui nulla viene sprecato, poiché tutto rientra nel ciclo della vita.

Rischia di andare perduta la varietà di colture che costituisce la vera ricchezza di queste comunità e contribuisce enormemente alla salvaguardia della biodiversità, essenziale alla sopravvivenza dell'intero pianeta. "Il governo vuole ripartire la terra tra i grandi imprenditori. Noi contadini protestiamo per potere mantenere almeno un piccolo terreno per sopravvivere. Molti contadini sono stati uccisi perché avevano occupato terre della zona di Santa Cruz, che da sempre appartenevano alle nostre comunità. Stiamo lottando, non permetteremo che la terra venga data agli imprenditori", dice Teofila Lopez, che esprime la preoccupazione di molti indigeni, in particolare delle donne: "Se ci tolgono la terra, se ci tolgono l'acqua, di cosa vivremo? Come vivranno i nostri figli e le nostre figlie?"

Sono soprattutto le donne, infatti, che si fanno carico delle esigenze della prole, con costi altissimi. Le donne di Altocochabamba, la zona più alta della città e anche una delle più povere, scendevano fino a valle a prendere l'acqua per le loro famiglie. Molte sono morte per emorragie dovute agli sforzi fatti per trasportare grandi quantità d'acqua in salita. Quando il servizio era privatizzato, pagavano l'acqua che non ricevevano nemmeno, perché gli impianti promessi non erano stati realizzati. La nuova gestione dei servizi idrici, creata da un coordinamento democratico dopo la rivolta popolare, ha già realizzato 800 nuovi allacciamenti in quest'area.

Quando le chiedo perché sono soprattutto le donne a difendere i diritti delle comunità indigene e contadine, Teofila Lopez risponde, con un sorriso: "Noi donne siamo più organizzate. A volte gli uomini si fanno corrompere. Il governo è alla ricerca di dirigenti di organizzazioni popolari che siano disposti a farsi comprare. Con le donne questo non succede, perciò siamo più efficienti e più rispettate. E' molto difficile per noi assumerci questo impegno, perché abbiamo molto lavoro da fare in casa, nei campi, dobbiamo accudire gli animali. Eppure lavoriamo anche di notte pur di partecipare a riunioni e seminari." Ora che le loro istanze sono finalmente rappresentate anche in parlamento, le popolazioni indigene sperano di lasciarsi alle spalle secoli di saccheggi perpetrati nei loro confronti, prima dai coloni spagnoli e poi da regimi dittatoriali o governi corrotti.

Non lontano da Cochabamba, si trova un emblema dello sfruttamento di questa gente: la miniera di Potosì, da cui gli indigeni, lavorando come schiavi sotto il dominio spagnolo a partire dal 1545, estrassero enormi quantità d'argento. Trasportato oltreoceano, l'argento di Potosì arricchì la nuova classe mercantile europea e diede il via a una nuova economia mondiale basata sulla moneta. Più di quattro secoli dopo, l'evoluzione di quella economia, che oggi chiamiamo 'globalizzata', minaccia ancora la sopravvivenza delle stesse popolazioni.

Teofila Lopez conclude: "Tutta la ricchezza della Bolivia se la sono sempre portata via in altri Paesi. Rischiamo di restare senza l'indispensabile per vivere. In passato non eravamo organizzati, non sapevamo cosa succedeva, non sapevamo come difenderci. Ora però abbiamo aperto gli occhi, abbiamo detto basta e continueremo a lottare."

P.S.


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