I fotografi
Dorothea Lange (1895-1965)

di Maurizio Berlincioni

Dorothea Lange nacque ad Hoboken, New Jersey, da una famiglia di immigrati tedeschi. Studiò fotografia alla Columbia University sotto la guida di Clarence H. White e nel 1912, appena diciassettenne, aprì a S. Francisco uno studio per ritratti.

Le opere dell'adolescenza e della giovinezza furono, nella maggior parte dei casi, caratterizzate da una ricerca evidente di sintesi e di semplicità e da un gusto marcato per la stilizzazione e l'indagine psicologica, pur restando a pieno titolo inserite nel contesto contemplativo e estetizzante della fotografia pittorialista di moda in quel periodo.

Da questo modo di 'vedere' la Lange si distaccò in modo abbastanza brusco all'inizio degli anni '30, quando cominciò a produrre immagini decisamente 'impegnate' (come la famosissima White Angel Breadline - La fila del pane - del 1932).

Si rese così manifesta questa sua grande capacità di penetrazione nell'illustrazione dell'uomo e degli ambienti in cui lo stesso vive e lavora, "alla ricerca - sono sue parole - della verità in ogni cosa e ad ogni costo". Questo diventerà il fondamento del suo operare e della sua poetica negli anni della maturità artistica.

Per dirla con Piero Racanicchi: "... nelle sue foto, prive di ogni compiacimento esteriore e di ogni aggettivo formale e convenzionale, Dorothea Lange documenta senza rimanere legata al documentarismo; descrive senza rimanere impastoiata alla cronaca ed al descrittivismo".

La partecipazione al grande progetto della
FSA, a partire dal 1935, la portò a seguire quelle correnti migratorie che si dirigevano verso la California, cogliendo espressioni di uomini, donne e bambini che rivelano, meglio di ogni commento scritto lo sgomento e lo sbandamento interiore di questi esseri umani abbandonati a se stessi.

Sempre Racanicchi, nel suo articolo, apparso su Popular Photography Italiana nel 1961, definisce il ritratto della Madre migrante "... senza dubbio la più bella opera della Lange, certamente una delle migliori che si siano avute dall'avvento della fotografia".

Una pubblicazione italiana
con le immagini di
Dorothea Lange


Profonda conoscitrice della pittura della Nuova Oggettività tedesca, dei suoi temi e dei suoi tagli visivi, essa fu sempre molto attenta a tutte le fasi del proprio lavoro, corredandolo con note, interviste, impressioni e suggerimenti circa il taglio finale dell'immagine e la sua impaginazione, un'impaginazione fatta per piccoli blocchi che ricorda da vicino alcune famose sequenze dei film di Ejzenstein.

Secondo A.C. Quintavalle "... La Lange impagina i suoi pezzi secondo una tradizione precisa, rifiuta un tempo 'continuo' al di fuori delle fotografie e di cui queste sarebbero o vorrebbero presentarsi come 'ritaglio'; ogni fotografia per lei è una sintesi".

Come accade per molti scrittori americani suoi contemporanei - vedi Faulkner, Hemingway, o Dos Passos, per citare solo alcuni dei nomi più famosi - nel suo lavoro si ritrova un tessuto narrativo che scorre continuamente spezzato da storie particolari, messe a fuoco in modo drammatico, tese a formare così un racconto ove la trama si evidenzia attraverso questi frammenti, mentre il discorso unitario quasi scompare o diventa lo sfondo di una sequenza simile a quella di un film.

Non a caso molte delle sue immagini sembrano foto di scena del film Furore (tratto dal famoso romanzo di Steinbeck, The Grapes of Wrath): in realtà sono stati prima lo scrittore e poi il regista John Ford che, per loro stessa ammissione, si sono ispirati nel loro lavoro alle fotografie della Lange.

Dal punto di vista delle scelte tematiche la Lange è la meno specializzata tra i fotografi della FSA. Ogni argomento può far parte della sua narrazione: il suo obiettivo è ritrarre i personaggi in senso antropologico, come figure significanti, considerandole in modo totalizzante e creando così una visione epica che ci trasmette i segni di un sistema e di una mitologia (quella del viaggio, dell'exodus).


(©1997 M.Berlincioni)

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